Un autobus a Milano porta una scritta che invita ad acquistare i biglietti con una nuova applicazione tramite cellulare.
Comodamente.
La mente si accomoda ormai in questa direzione: non ci sono da fare troppi movimenti, tutto diventa più a portata di click, comodamente da casa nostra o da dove ci troviamo.
Siamo indotti a cercare sempre più soluzioni attraverso la Rete: fare operazioni in banca, acquistare libri, musica, biglietti d’ogni tipo e persino fare la spesa.
Naturalmente anche comunicare attraverso i social network.
L’elenco potrebbe continuare fino alla noia.
Fermiamoci qui, con un esempio dell’ultima frontiera, quella della ricerca ed organizzazione di incontri e eventi:
Un discorso particolare merita la realtà del “telelavoro”, che comprende anche lo “smart work” - chi vuole informazioni abbastanza rapide e stimolanti può leggere questi due articoli:
Due sono a mio parere le implicazioni che coinvolgono direttamente noi psicologi.
La prima riguarda il tic del click e la sindrome del multitasking.
La seconda il disequilibrio crescente della gente, tra corpo e mente (le rime sono volute, a provocare un’attenzione e un allarme).
Il tic del click porta a un’ossessività compulsiva che inchioda i più deboli al computer e-o allo smartphone, alle prese con connessioni che non bastano mai e che spesso non hanno periodi di reale tregua.
Questo è particolarmente significativo nel caso del telelavoro, in quanto lo trasforma da occasione di riappropriazione del tempo libero in costrizione coatta, che non concede momenti di reale separazione dall'attività lavorativa.
Molti clienti mi hanno testimoniato quanto risulti irresistibile (anche di sera) il canto delle sirene delle notifiche push che annunciano mail, watsapp o sms a qualsiasi ora.
Le notifiche attivano il tic del click e un orizzonte di libertà diventa una prigione.
Il multitasking poi dà un bel rinforzo alle mura carcerarie, come cercavo di descrivere in un altro articolo:
Il disequilibrio progressivo tra corpo e mente a favore (si fa per dire) di quest'ultima, è sotto gli occhi di tutti.
Il movimento è progressivamente ridotto in quanto meno necessario e l'impegno davanti a un monitor, grande medio o piccolo che sia, diventa sempre più necessario e invadente.
Le posture più frequenti si vanno gradualmente strutturando in atteggiamenti corporei standard, a scapito della salute psicosomatica fondata su movimento respiro e sensibilità.
La mente (in senso restrittivo) e gli occhi diventano dominanti, con il concorso caparbio dei muscoli delle mascelle, del collo e delle spalle, in un ostinato arroccamento della parte superiore del corpo che induce una serie di compensazioni psicosomatiche non salutari.
Che fare?
“Fare” certamente è una via d'uscita.
Fare implica un movimento.
I più sani ed evoluti hanno intuito il pericolo e, più o meno consapevolmente, hanno elaborato strategie compensatorie.
Il successo crescente della nuova attenzione alla salute e al benessere, all'alimentazione consapevole, ai vari tipi di meditazione, ne sono un'espressione.
Gli operatori bioenergetici, siano essi counselor o psicoterapeuti, come si possono inserire in questo processo correttivo-compensatorio?
Le classi di esercizi sono certamente una risorsa fondamentale, in quanto uniscono movimento e consapevolezza propriocettiva, tensione e distensione, carica e scarica.
Se integrate a elementi di espressione corporea, gioco e drammatizzazione, possono costituire un'occasione formidabile di decongestione dall’iperattività “oculomentale”.
I formati potranno essere vari.
Gruppi esperienziali e intensivi “off line” di disintossicazione dal multitasking “on line”, credo che possano avere un ruolo di primo piano.
Oltre naturalmente alla psicoterapia bioenergetica che è la madre di tutte queste risorse.
Ritengo che in un futuro che è già in parte presente, gli operatori bioenergetici avranno grandi occasioni di diventare protagonisti del riassestamento ecologico psicosomatico necessario, di cui mi sembra d’intravvede il divenire.