La citazione generica della fonte attraverso "cit." conferisce una generica paternità autorevole al contenuto postato: perché non esprimersi con contenuto proprio?
È una specie di deresponsabilizzazione e insieme di autoconsacrazione che ha un sapore manipolatorio.
La citazione della fonte che invece indica l'autore è di regola generica: non si riporta il luogo da cui è tratto il contenuto.
Sappiamo bene come sia facile travisare il significato di una frase estrapolata dal suo contesto, a volte fino a poter evocare l'opposto del senso originario. Anche in questo caso si fa leva su un'autorità culturalmente riconosciuta, per dare autorevolezza al proprio contenuto e puntare a far incetta di “like” e condivisioni.
In questa fase primitiva della comunicazione via Facebook, i “like” ottenuti funzionano ancora, per molte persone, come "crediti professionali".
Nella prima infanzia, abbiamo introiettato vissuti di sudditanza (con tutti i vari sentimenti connessi) nei confronti dei “grandi”, a cominciare dai nostri genitori: il grande e il piccolo si sono stagliati nella "nostra anima" come poli opposti, in forme differenti a seconda dei casi.
I grandi numeri ci mettono spesso in uno stato d'animo di subalternità, magari inconsapevole: centinaia o migliaia di “mi piace” possono quindi rappresentare un' Autorità convalidata, nell'immaginario collettivo.
Chi lavora nelle relazioni d'aiuto, in particolare uno psicologo, quando volesse usare delle citazioni nelle proprie pubblicazioni su Facebook, dovrebbe fare attenzione e chiedersi quale possa esserne l'impatto sulla sensibilità dei propri clienti, sia a livello conscio che inconscio.
Giacché la mancanza di autenticità e la distorsione della verità in un'ottica di manipolazione del consenso, più o meno deliberata, sono quanto di peggio si possa incontrare in questo genere di professioni.