C’era una volta un mio amico, si chiamava Attilio Gardino: tra le tante cose che faceva amava stupire gli altri con la sua intelligenza.

A volte si spingeva così in alto che io non lo capivo più, eppure sono intelligente anch’io…

Allora gli dicevo Attilio vieni giù!

Lui rideva sotto i suoi bei baffi e si vedeva che si aspettava che fossi io a dovere salire su.

Da cinque anni ormai se ne è andato, non so se giù o su: lo voglio ricordare

provando ad impegnarmi in una ascesa verso alcuni picchi del suo pensiero.

Auspico una cordata di volontari pronti a meditare con me su una sua conferenza tenuta nel novembre del 2016 , intitolata “I vestiti dell'imperatore, ovvero l’utopia della realtà”  : una vetta stagliata sul cielo terso della sua passione per l’astrazione.

Cominciava con una fiaba di Hans Christian Andersen, che dava per scontato fosse ben conosciuta e che per sicurezza io voglio raccontare.

Molti anni fa viveva un imperatore che amava avere sempre bellissimi vestiti nuovi, tanto da usare tutti i suoi soldi per vestirsi elegantemente….

Nella grande città in cui abitava ci si divertiva molto: ogni giorno giungevano molti stranieri.

Una volta arrivarono due impostori: si fecero passare per tessitori e sostennero di saper tessere la stoffa più bella che mai si potesse immaginare.

Non solo i colori e il disegno erano straordinariamente belli, ma i vestiti che si facevano con quella stoffa avevano lo strano potere di diventare invisibili agli uomini che non erano all'altezza della loro carica e a quelli molto stupidi.

"Sono proprio dei bei vestiti!" pensò l'imperatore.

"Con questi potrei scoprire chi nel mio regno non è all'altezza dell'incarico che ha, e riconoscere gli stupidi dagli intelligenti."

Diede quindi ai due truffatori molti soldi, affinché potessero cominciare a lavorare.

Questi montarono due telai e fecero finta di lavorare, ma non avevano proprio nulla sul telaio. Chiesero la seta più bella e l'oro più prezioso, ne riempirono le borse e lavorarono con i telai vuoti fino a notte tarda.

“Mi piacerebbe sapere come proseguono i lavori per la stoffa” pensò a un certo punto l’imperatore “manderò il mio vecchio bravo ministro dai tessitori: lui potrà certo vedere meglio degli altri come sta venendo la stoffa, dato che ha buon senso e non c'è nessuno migliore di lui."
Il vecchio ministro entrò nel salone dove i due truffatori stavano lavorando con i due telai vuoti.

"Dio mi protegga!" pensò, e spalancò gli occhi "non riesco a vedere niente!"

Ma non lo disse.

Entrambi i truffatori lo pregarono di avvicinarsi di più e chiesero se i colori e il disegno erano belli, indicando i telai vuoti.

 Il povero ministro continuò a sgranare gli occhi, ma non poté veder nulla, perché non c'era nulla.

"Signore!" pensò "forse sono stupido? Non l'ho mai pensato ma non si sa mai.

Forse non sono adatto al mio incarico? Non posso raccontare che non riesco a vedere la stoffa!"

"È splendida! Bellissima!" disse il vecchio ministro guardando attraverso gli occhiali. "Che disegni e che colori! Sì, sì, dirò all'imperatore che mi piacciono moltissimo!"
Gli imbroglioni richiesero altri soldi, seta e oro, necessari per tessere e si misero tutto in tasca: sul telaio non giunse mai nulla, e loro continuarono a tessere sui telai vuoti.

L'imperatore inviò poco dopo un altro onesto funzionario per vedere come proseguivano i lavori e quanto mancava prima che il tessuto fosse pronto.

A lui successe quello che era capitato al ministro: guardò con attenzione, ma non c'era nulla da vedere se non i telai vuoti, e difatti non vide nulla, lodò la stoffa che non vedeva e riferì poi all'imperatore: "Sì, è proprio magnifica."

Tutti in città parlavano di quella magnifica stoffa, tutti sapevano che straordinario potere avesse e tutti erano ansiosi di scoprire quanto stupido o incompetente fosse il loro vicino.

L'imperatore volle quindi vederla personalmente mentre ancora era sul telaio.

Con un gruppo di uomini scelti, tra cui anche i due funzionari che già erano stati a vederla, si recò dai furbi truffatori che stavano tessendo con grande impegno, ma senza filo.

"Non è magnifica?" esclamarono i due bravi funzionari.

"Sua Maestà guardi che disegno, che colori!" e indicarono il telaio vuoto.

"Come sarebbe!" pensò l'imperatore. "Io non vedo nulla! È terribile! sono forse stupido? o non sono degno di essere imperatore?"

"Oh, è bellissima!" esclamò e ammirava, osservandolo soddisfatto, il telaio vuoto.

Tutto il suo seguito guardò con attenzione, e tutti dissero ugualmente: "È bellissima" e consigliarono all’ imperatore di farsi un vestito con quella nuova meravigliosa stoffa e di indossarlo al corteo che doveva avvenire entro breve tempo. 
Tutta la notte che precedette il corteo i truffatori restarono alzati con sedici candele accese: così la gente poteva vedere che avevano da fare per preparare il nuovo vestito dell'imperatore.

Finsero di togliere la stoffa dal telaio, tagliarono l'aria con grosse forbici e cucirono con ago senza filo, infine annunciarono: "Ora il vestito è pronto."

Giunse l'imperatore in persona con i suoi illustri cavalieri, e i due imbroglioni sollevarono un braccio come se tenessero qualcosa e dissero: "Questi sono i calzoni…e poi la giacca …e infine il mantello!" e così via.

"La stoffa è leggera come una tela di ragno! si potrebbe quasi credere di non aver niente addosso, ma e proprio questo il suo pregio!".
"Sì!" confermarono tutti i cavalieri, anche se non potevano vedere nulla, dato che non c'era nulla.

"Vuole Sua Maestà Imperiale degnarsi ora di spogliarsi?" dissero i truffatori "così le metteremo i nuovi abiti proprio qui davanti allo specchio."

L'imperatore si svestì e i truffatori finsero di porgergli le varie parti del nuovo vestito.

"Come le sta bene! come le dona!" dissero tutti.

"Che disegno! che colori! È un abito preziosissimo!"
"Sì -rispose l'imperatore- mi sta proprio bene!"

E si rigirò ancora una volta davanti allo specchio.

Quindi l'imperatore aprì il corteo sotto un bel baldacchino e i ciambellani che dovevano reggere lo strascico finsero di afferrarlo da terra e si avviarono tenendo l'aria, dato che non potevano far capire che non vedevano niente.

La gente che era per strada o alla finestra diceva: "Che meraviglia i nuovi vestiti dell'imperatore! Come gli stanno bene!". 

Nessuno voleva far capire che non vedeva niente. Nessuno dei vestiti dell'imperatore aveva mai avuto una tale successo.
"Ma non ha niente addosso!" disse ad un certo punto un bambino. 

"Signore sentite la voce dell'innocenza!" replicò il padre, e ognuno sussurrava all'altro quel che il bambino aveva detto.

"Non ha niente addosso! C'è un bambino che dice che non ha niente addosso!"
"Non ha proprio niente addosso!" gridava alla fine tutta la gente.

E l’imperatore rabbrividì perché sapeva che avevano ragione, ma pensò:

"Ormai devo restare fino alla fine."

E così si raddrizzò ancora più fiero e i ciambellani lo seguirono reggendo lo strascico che non c’era. 

Attilio… guerriero delle idee…che vieni dal tuo mondo di astrazioni a dissestare il mio ordinamento intellettuale…e mi lasci confuso e te ne vai da dove sei venuto…Attilio, scherzi a parte, che cosa ci vuoi dire alludendo alla storia di questo imperatore?

...mi sono chiesto cosa sono questi vestiti che tutti dicono di vedere e che non ci sono ... come fa questo bambino a dichiarare una cosa così ovvia, cioè che il re è nudo?...

Il bambino vede la realtà fondamentalmente perché è ancora parzialmente fuori da un contratto sociale che lega tutti noi... *

Ah questa sì che la capisco bene…Attilio mio…quelli della favola vedono che non ci sono i vestiti, ma non hanno il coraggio di dirlo per paura di essere considerati stupidi e allora si immaginano che ci sia quello che loro non vedono e che dall’alto viene detto che c’è…e se viene loro il dubbio che sia tutto un imbroglio se ne stanno zitti per non perdere la loro credibilità…insomma accettano una menzogna per essere credibilinon credono alle proprie percezioni e credono a quello che si dice…roba da pazzi!...

gli schemi sociali ideologici, il pensiero dominante, cioè il modo di vedere il mondo, le convenzioni e le mode … sono i vestiti immaginari che offrono una copertura alla nuda realtà…e per ritornare alla realtà bisogna ritornare all’ingenuità dell’infanzia…

Ma dimmi ancora qualcosa che mi aiuti a elevare il mio bagaglio eclettico pragmatico…

...l’invito che vorrei farvi è di cercare di essere un po’ stupidi insieme, almeno un po’ ingenui, per guardare le cose che ci riguardano tutti i giorni...e con questa chiave di lettura porci la domanda...siamo sicuri che l’utopia è qualcosa che non c’è o magari è la realtà che non riusciamo mai a raggiungere?...

Un invito quindi a cercare di squarciare la bolla della visione del mondo in cui siamo imprigionati, per vedere la realtà in un’ottica ingenua, cioè “nuova” e non precostituita…un esercizio non semplice ma certamente fondamentale…e noi psicologi in prima fila...

Mi viene in mente l’inizio di un articolo di Alexander Lowen del 1965, intitolato

“Il respiro, il movimento e il sentire”:

“Ci sono verità talmente evidenti che si dimostrano da sole, ma proprio per la loro evidenza sfuggono alla nostra attenzione.

Per esempio, non vi è nessuno che neghi l’importanza di essere vitali. Vogliamo essere vitali, eppure trascuriamo il respiro, abbiamo paura del movimento e siamo riluttanti di fronte alle sensazioni…”   https://www.siab-online.it/media/103879/artlowen.pdf

Respiro, movimento, sensazioni…l’ABC ingenuo dei bambini…

Ma perdona l’interruzione dottor Gardino e continua l’analisi…

...I traumi e le situazioni conflittuali traumatiche che il bambino vive nella sua infanzia creano dei blocchi energetici e psichici attorno ai quali si sviluppa la sua personalità e quello che viene chiamato il carattere che ha lo scopo fondamentalmente di metterlo al riparo dal dolore che ha incontrato nella sua evoluzione... quindi è un un’organizzazione volta ad evitare: ma se noi andiamo via da qualcosa andiamo verso qualcos’altro...

Questo qualcos’altro è quello che Alexander Lowen chiama

le illusioni caratteriali.

Le illusioni caratteriali sono l’impegno che ognuno di noi ha di realizzare un sé in sintonia con il gruppo in cui ci troviamo...

molti psicologi parlano di falso sé: è un tentativo legato alla considerazione che quello che sono non va bene e quindi cerco qualcos’altro e questo caratterizza tutta la vita...

Ma siamo allora tutti mentitori?...

Caro mio Attilio …in queste cose ti conosco bene e so che non fai mai domande a caso…dicci che cosa hai in mente…

...Erwing Goffman, psicologo sociale autore di Asylums una specie di Bibbia negli anni 70 sulle istituzioni totali e i meccanismi dell’esclusione e della violenza, rappresenta la vita quotidiana come spettacolo teatrale, in poche parole la nostra messa in scena.

La riconosciamo negli altri perché la facciamo tutti, ma non la smentiamo: stiamo con la messa in scena di cui siamo più o meno consapevoli...consapevoli di quello che noi facciamo e di quello che fa l’altro, ma ci lega un patto di omertà sociale e come tutti gli animali sappiamo perfettamente che la nostra sopravvivenza dipende dalla sopravvivenza dell’habitat del gruppo...

Lo facciamo tutti e tutti siamo solidali... 

...vi leggo una frase di Goffman:

“Posso solo suggerire che chi vuole combattere la falsa coscienza e destare la gente ai suoi veri interessi ha molto da fare, perché il sonno è molto profondo. Ed io non intendo fornire una ninnananna ma solo osservare il modo in cui la gente russa”

Sai che ti dico Attilio, mi vado a rivedere qualche cosa di quel che ha scritto mezzo secolo fa questo tuo autore, che io non ho mai letto… ma intuisco che nei decenni anch’io avrò detto parecchie cose che lui ha scritto...

Ci metto un po’ di buona volontà, ma alla mia età non posso studiar troppo …per cui ficcherò il naso nella Rete...e mi farò aiutare anche dall’Intelligenza Artificiale.

... Erving Goffman nel suo libro The Presentation of Self in Everyday Life" (“La vita quotidiana come rappresentazione”) utilizza la metafora del teatro per analizzare la vita quotidiana, che descrive come una serie di performance in cui le persone interpretano ruoli sociali.

L'individuo riveste contemporaneamente il ruolo di attore e quello di personaggio... non vi è mai la possibilità di essere al di fuori della scena, anche quando riteniamo di recitare una parte assolutamente spontanea e sincera.

Goffman sviluppa il concetto di "presentazione di sé", per descrivere come le persone cercano di controllare l'impressione che gli altri hanno di loro, attraverso strategie consapevoli o inconsce, distinguendo tra situazioni "frontstage" (pubbliche) e "backstage" (private): il frontstage è la parte della vita visibile agli altri, mentre il backstage rappresenta il lato più privato delle persone.

La "presentazione di sé" è una strategia attraverso cui le persone cercano di influenzare l'opinione degli altri e include la “gestione delle impressioni” attraverso l'abbigliamento, il linguaggio del corpo e altri segnali, come gli "atti" che le persone compiono durante le interazioni sociali e i "ruoli" che assumono. Gli atti sono le azioni specifiche compiute, mentre i ruoli sono le aspettative sociali associate a una posizione o a un'identità.

La gestione delle impressioni sarebbe un insieme di sforzi consapevoli o inconsci che le persone compiono per controllare l'impressione che gli altri hanno di loro.

Si tratta di un'analisi approfondita e pionieristica sulla natura delle interazioni sociali e sulla costruzione della realtà sociale attraverso la presentazione di sé, con la quale gli uomini tentano di mantenere costantemente un’immagine positiva e coerente di sé stessi.

Ciò che conta è come appariamo agli occhi degli altri e anche come crediamo di essere visti: “Salvare la faccia” “Metterci la faccia” “Fare bella figura”.

A ben vedere questa analisi si integra in parte con quella di Friedrich Nietzsche.

La constatazione goffmaniana "non puoi essere altro che ciò che fingi di essere".

si può accompagnare all’imperativo nietzschiano "diventa ciò che sei”.

L'imperativo nietzschiano è un appello a essere autentici e a realizzare la propria individualità.

Diventare ciò che si è richiede un'autentica accettazione di sé stessi, con pregi e difetti, esplorando e abbracciando la totalità della propria individualità, e implica anche una liberazione dalle convenzioni sociali e dalle aspettative altrui.

Un invito quindi a sfidare i ruoli imposti e a seguire il proprio percorso, anche se diverge da norme e tradizioni, in un processo continuo di auto-esplorazione e crescita. La vita è vista come un costante divenire e un continuo sviluppo della propria individualità.

L’analisi di Goffman mostra come l’interazione sociale sia nella realtà un “dramma”, in cui gli attori (la gente) interpretano sé stessi, cercando di rappresentare chi credono di dover essere o sperano di riuscire ad essere, a seconda del palcoscenico sul quale recitano e a seconda del pubblico che osserva.

In sintesi, si tratta, come tu dici Attilio, di una messa in scena e giustamente la tua domanda “siamo tutti mentitori?” sembra avere una risposta affermativa…piuttosto negativa direi giocando con le parole…

Che ne dici?

...potremmo dire che forse più che mentitori potremmo definirci attori prigionieri, artefici di uno spettacolo individuale e collettivo che continuiamo a chiamare realtà... 

ma forse potremmo essere visti come persone impegnate nel sostenere reciprocamente le frottole che presentiamo a noi e agli altri... 

Tutti si aspettano qualcosa da me...ad esempio come psicologo devo annuire accogliente...

Anche in psicologia ci sono delle epopee...

I ragazzi caratteriali non ci sono più: negli anni 70 era pieno di diagnosi di bambini caratteriali... negli anni 80-90 esplode la tematica del narcisismo e improvvisamente trovi nelle diagnosi sempre narcisismo... nel 2000 quello della depressione...adesso invece siamo tra il trauma e l’abuso... 

Allora anche la psicologia, che si picca di essere scienza, in realtà è soggetta a delle mode: può vedere ciò che la teoria le permette di vedere... 

 

Nel 1348 in Europa arriva la peste, un quinto della popolazione sparì in cinque anni...una vera e propria catastrofe. 

Questo avvenne in una società fortemente caratterizzata da una visione teocentrica: tutto era riferibile e riferito a Dio.  

C’era la domanda...come mai succede questo?

...se tutto è riferito a Dio, Dio è arrabbiato con noi...

non fu difficile all’interno di questa visione della realtà pensare agli ebrei che erano stati accusati di aver ucciso Dio...

Quindi era facile concludere che fossero responsabili di quanto Dio fosse arrabbiato e la peste ne era una manifestazione...

quindi incominciarono a eliminarli...l’eccidio più grande dopo quello nazista...

questi nostri antenati hanno fatto quello che facciamo sempre, cioè utilizzare una teoria, una rappresentazione del mondo, per interpretare il mondo.

È molto difficile cambiare le rappresentazioni del mondo... 

pensate che gli astronomi impiegarono sessant’anni prima di riconoscere nel cielo i mutamenti dopo la teoria formulata da Copernico... 

Perché se è anche vero che la scienza nasce rompendo la prigione dell’ideologia e introducendo il dubbio, il rischio è che si sostituisca l’ideologia stessa con la scienza...

cioè si fa combaciare il conosciuto con il conoscibile e si difende questo conosciuto come unica dimensione...quindi va a sparire fondamentalmente il mistero...

il mistero che era compagno di viaggio alla nascita tende a morire o meglio è una specie di convitato di pietra al banchetto della conoscenza.

Perché vengono difese così tanto le nostre rappresentazioni?

Perché è il luogo dove abbiamo preso casa.

Abitiamo le nostre rappresentazioni. 

Non vogliamo far entrare nel nostro appartamento ospiti scomodi.

Einstein dice che è la teoria che determina ciò che osserviamo e non viceversa.

Le nostre teorie, il più delle volte inconsce, determinano il nostro habitat e la nostra volontà di proteggerle a tutti i costi. 

Caro Attilio, da quando tu te ne sei andato, circa cinque anni fa, abitiamo rappresentazioni sempre più ampie e composite…già molto avevi potuto vedere e conoscendoti credo che molto avessi potuto prevedere meditando il futuro…

La globalizzazione digitale attraverso la Rete si è sviluppata in modo esponenziale… la nostra casa assomiglia a un labirinto dove c’è spazio per tutti e le diverse stanze sembrano abbastanza confortanti per chi le riesce a rintracciare…ma solo pochi hanno voglia di cercare un’uscita e la riescono a trovare …

Si tratta quindi della solita storia riveduta e corretta…che nessuno pare aver fretta di cambiare…anche perché chi lo potrebbe fare per averne gli strumenti culturali (estro e consapevolezza) e materiali (mezzi e tempo) sovente non se la sente di emigrare dal castello dei confort....

La calotta socioculturale è sempre più composita…ma in forma caleidoscopica e avvincente c’è tuttavia una subdola visione dominante…

Il condizionamento sociale, almeno parziale, di questo tessuto connettivo ideologico è piuttosto leggibile, anche se sottovalutato in nome di una presunta autonomia individuale.

Quello che invece è molto meno leggibile, più sottovalutato, e tendenzialmente negato, è il rilevante condizionamento individuale dovuto agli schemi inconsapevoli emozionali, cognitivi e comportamentali dovuti alla propria mappa personale di stampo familiare.

Nonostante il proliferare del ricorso a psicologie e psicoterapie, mi pare proprio, caro Attilio, che prevalga un approccio adattivo, volto a trovare nuovi angoli di confort nella casa di tutti…

Sempre più le persone hanno l’inclinazione a farsi accompagnare da qualche ideologia che le prenda per mano, piuttosto che prender in mano la bussola dei propri cinque sensi, delle propriocezioni che aiutino a sentire le proprie emozioni nascoste nei cassetti segreti dell’infanzia (l’inconscio viscerale) e attingere alle proprie intuizioni per cercare di crearsi una strada personale di benessere esistenziale, ritagliato necessariamente nel contesto sociale contingente.

La realtà (interna ed esterna) ci preme, ma sembra che a pochi prema di avvicinarla oltre il perimetro della “propria” ideologia, del “proprio” sistema di credenze.

Lo vedevi anche tu dottor Gardino?


...Da Kant a Popper non dovremmo avere più dubbi sul credere che la realtà in sé, il mondo intero sia inaccessibile alla nostra comprensione, però per fortuna lo dicono loro e noi possiamo far finta che questo non ci tocchi.

Possiamo anche aggiungere che la realtà è inaccessibile soprattutto per chi fa un lavoro terapeutico.

Quindi se parliamo della realtà e di come soffriamo a causa di essa, parliamo di una dimensione di sofferenza le cui origini dovrebbero essere ricercate in noi stessi, nel senso che possiamo solo avvicinarci a conoscere noi stessi: credo che questo sia una carta vincente per tutti noi, ma noi sappiamo che in terapia molte volte la fatica consiste nel portare l’esterno all’interno del paziente.

A rinforzare questo discorso vorrei citare Erwin Schrödinger, che è un fisico matematico austriaco: lui dice che le immagini del mondo si sottraggono all’oggettivazione scientifica ortodossa perché debbono inevitabilmente contenere il loro soggetto, l’osservatore o colui che descrive e portano perciò al problema, ben noto in logica, di una paradossale auto riflessività e quindi, in parole povere, non si va da nessuna parte...

Quindi se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, possiamo dire che anche la fisica quantistica ci invita a tenere ben ferma la consapevolezza della soggettività della nostra percezione ed analisi della realtà (interna ed esterna) e ad affinare la nostra analisi sui filtri personali, gli schemi come li definisce Ulrich Neisser, padre del cognitivismo.

Erwin Schrödinger, noto fisico teorico austriaco, ha dato un contributo fondamentale alla meccanica quantistica e al “dibattito filosofico” sull'interpretazione della natura della realtà, osservando che le immagini del mondo, quando esaminate da una prospettiva scientifica ortodossa, sfuggono a una completa oggettivazione, perché inevitabilmente includono il soggetto, cioè l'osservatore stesso che è intrinsecamente coinvolto nella costruzione della realtà osservata.

Le implicazioni psicologiche possono essere ampie.

Se riconosciamo che le percezioni delle persone sono influenzate dalla loro soggettività, dalle loro esperienze passate e dalle loro aspettative, ogni individuo può avere soltanto una percezione soggettiva della realtà, basata sulle proprie esperienze, convinzioni e interpretazioni personali.

Quindi la realtà è sempre una realtà personale, frutto di una percezione selettiva in quanto le persone tendono a notare e interpretare le informazioni in modo selettivo, in base alle loro attese e alle loro motivazioni: il soggetto, attraverso i suoi meccanismi di difesa, influenza la percezione del mondo.

Ne consegue che “la realtà” è costruita attraverso l'interazione sociale: le persone influenzano reciprocamente le loro percezioni del mondo.

Questa interazione sociale costruisce un insieme di idee della realtà, un insieme di “verità” sui suoi innumerevoli aspetti: l’ideologia dominante e le sue varianti.

...a proposito della verità, che per molti è sinonimo di realtà, vorrei citare una affermazione di Hans Vaihinger, un filosofo che ha orientato sia Freud che Adler, che nella “Filosofia del come se” dice: “la verità e l’errore più utile”...

Mentre guardo la pioggia e il vento rifrangersi tra le foglie degli alberi in questa mattina del gennaio 2024, penso a te che cercavi di guardare tra correnti di idee… radici del nostro modo di pensare…che sguardo ampio avevi, caro compagno di viaggi introspettivi…

E foglia dopo foglia, sei andato a sfogliare anche le pagine di questo filosofo tedesco, Hans Vaihinger, che nel suo lavoro "La filosofia del come se”, pubblicato nel 1911, sviluppa l'ipotesi che molte delle idee umane, specialmente in filosofia e scienze, sono convenzionali e funzionali anche se potrebbero non corrispondere a verità oggettive.

Tutta la conoscenza, costituita dalle categorie e dai giudizi percettivi, sarebbe finzione, accolta e conservata solo perché utile.

Tutte le discipline scientifiche, a partire dalla matematica, utilizzano idee e concetti pragmatici.

L'utilità, per Vaihinger, consiste in una filosofia al servizio della vita, tramite l'elaborazione di una visione del mondo che renda degna l'esistenza.

Essendo finzione, non necessita di verifica.

Questa “filosofia del come se” invita a considerare l'utilità e la funzionalità delle idee, anche quando non possono essere dimostrate come verità oggettive.

Anche se alcune idee potrebbero non corrispondere alla realtà oggettiva, possono comunque essere utili o efficaci se trattate "come se" fossero vere: sono convenzionali e funzionali, sono strumenti mentali che ci permettono di organizzare il nostro pensiero e di interagire con il mondo in modi pratici ed efficaci.

Quindi le costruzioni mentali sono strumenti che ci permettono di organizzare il nostro pensiero e di interagire con il mondo in modi pratici ed efficaci.

Le ideologie sono utili e utilitaristiche…è qui che siamo arrivati dottor Gardino…

Allora dove ci porti ancora?

...Allora tutto questo per dire che cosa?.. per introdurre un tema... che cos’è la coscienza o l’autoriflessività?

...per rispondere a questa domanda, non per dare una definizione della coscienza, ma giusto per darle una dimensione, utilizzo

uno scienziato, un linguista e uno psicologo:

Edelman biologo, Lakoff linguista Jaynes psicologo.

Gerald Edelman biologo, premio Nobel per la medicina nel 72,

ha scritto un libro che si chiama “Sulla materia della mente”, dove suddivide la coscienza in due: la coscienza primaria e la coscienza secondaria...

...la coscienza primaria “è la capacità di combinare differenti categorizzazioni percettive correlate a una scena o a un oggetto...di produrre una generalizzazione sviluppando una scena cosciente e creando in una frazione di secondo un presente ricordato”  

Mi spiego meglio: è la coscienza che appartiene al bambino fino all’acquisizione del linguaggio, quella che Jean Piaget chiamava intelligenza sensomotoria...che è caratteristica anche di altri animali simili a noi, come i primati, quindi è una coscienza priva di parole...

...poi c’è la coscienza di ordine superiore che è caratterizzata “da un senso del sé nello stato di veglia, dal costruire esplicitamente e collegare tra loro scene trascorse e future, disponendo di capacità sintattiche e linguistiche”

...cioè fondamentalmente con la coscienza di ordine superiore quello che succede è che compare la produzione simbolica e la coscienza primaria diventa inaccessibile...

la coscienza primaria è il luogo dell’esperienza sensoriale e dell’organizzazione dell’esperienza sensoriale, senza il passaggio alla simbolizzazione...non so se possiamo considerare la coscienza primaria come l’inconscio...è una domanda che mi sono posto, ma non l’ho trovata come risposta in nessuna parte...lui non lo dice. 

Dunque, sulla base delle ricerche del biologo Gerald Edelman, che ha fornito un approccio innovativo alla comprensione dello sviluppo e del funzionamento del sistema nervoso, si arriva a questo punto: che la coscienza definita primaria, che tu Attilio ipotizzi potersi identificare con l’inconscio, non è più accessibile a causa della sovrastruttura articolata e complessa di quella che egli definisce coscienza superiore, che si è sviluppata con la simbolizzazione e il linguaggio.

Ho provato a impiegare alcune ore del mio tempo per capire meglio, approfittando del silenzio dell’alba nel bosco…

Il lavoro di Gerald Edelman (Premio Nobel nel 1972, per gli studi sul sistema immunitario e la scoperta della struttura delle immunoglobuline) ha avuto un impatto significativo sia nell’ambito delle neuroscienze che in quello dell'immunologia.

La teoria della " selezione di gruppo neuronale " presentata nel suo libro del 1987 intitolato " Darwinismo Neuronale: La Teoria della Selezione di Gruppo Neuronale” rappresenta un approccio innovativo alla comprensione dello sviluppo e del funzionamento del sistema nervoso.

Edelman ha applicato il concetto di selezione darwiniana al contesto del sistema nervoso.

Secondo la teoria darwiniana, le specie si evolvono attraverso la selezione naturale delle caratteristiche più adattative: questo concetto viene esteso ai neuroni e alle loro connessioni nel cervello.

Durante lo sviluppo embrionale una vasta varietà di neuroni e connessioni sinaptiche verrebbe prodotta casualmente.

Questa diversità è la base per la selezione, che si verifica in una fase successiva attraverso una competizione tra i neuroni per le risorse e lo spazio disponibili: solo quelli che sviluppano connessioni efficaci e funzionali vengono selezionati e sopravvivono, mentre gli altri sono eliminati.

Sulle basi del darwinismo neurale Edelman ha poi perfezionato la sua teoria della coscienza, che viene distinta in due livelli organizzativi: una coscienza primaria e una coscienza superiore.

Ecco le parole di Edelman nel suo libro “Sulla materia della mente”:

«La prima [coscienza primaria] è lo stato di consapevolezza mentale delle cose del mondo, in cui si hanno immagini mentali del presente; ma non si accompagna affatto alla sensazione di essere una persona con un passato e un futuro.

È ciò di cui sono presumibilmente dotati alcuni animali senza linguaggio né semantica.

La coscienza di ordine superiore, invece, comporta il riconoscimento da parte di un soggetto raziocinante dei propri atti e dei propri sentimenti; incorpora un modello dell’identità personale, del passato e del futuro, oltre al modello del presente.

Rivela una consapevolezza diretta e immediata di episodi mentali senza il coinvolgimento di organi di senso o di recettori. È ciò che abbiamo noi esseri umani, in aggiunta alla coscienza primaria: siamo coscienti di essere coscienti.»

Secondo Edelman, la coscienza primaria deriva dalla vasta varietà di connessioni neurali e dalla selezione di gruppo neuronale durante lo sviluppo del cervello ed è associata a stati soggettivi di base, come le sensazioni e le percezioni elementari, si concentra cioè sulla fenomenicità elementare, ovvero l'esperienza soggettiva di sensazioni elementari come il colore, il suono e altre sensazioni di base.

La coscienza superiore non è separata dalla coscienza primaria: piuttosto emerge dalla coscienza primaria attraverso processi di integrazione e rappresentazione e coinvolge la capacità di integrare informazioni provenienti da diverse regioni del cervello e processi più complessi come la memoria, l'attenzione selettiva, il ragionamento e l'elaborazione concettuale.

Edelman sottolinea l'importanza della rappresentazione nella coscienza superiore. Questo implica la capacità del cervello di creare rappresentazioni mentali di concetti astratti, situazioni complesse e idee, andando oltre le percezioni sensoriali di base.

La coscienza superiore coinvolge la conoscenza di sé e la consapevolezza del proprio stato mentale. Ciò include la capacità di riflettere sulle proprie esperienze, emozioni e pensieri, così come la consapevolezza dell'esistenza di sé come individuo separato.

Con lo sviluppo della coscienza di ordine superiore e la capacità di creare rappresentazioni simboliche e di riflettere sulle proprie percezioni, pensieri ed esperienze in modo più astratto, la coscienza primaria, legata alle sensazioni e alle percezioni di base, potrebbe essere meno direttamente accessibile in quanto l'attenzione si sposta verso la riflessione e la produzione simbolica.

Questo sembra il punto nodale per il quale citi il lavoro di Edelman… caro Attilio… indomito esploratore dei tuoi simili…

La nostra coscienza sensoriale e la sua attivazione potrebbero essere soverchiate dalla massiva elaborazione concettuale e finire per evaporare, almeno in parte…

Vediamo ora cosa hai individuato nell’analisi del linguista Lakoff.


...Lakoff invece, che è un linguista, sostiene che il nostro sistema concettuale sia fondamentalmente di natura metaforica...

Che cos’è una metafora? Banalmente è un trasferimento di senso...

l’opera continua che il nostro sistema concettuale produce per organizzare i propri concetti...un trasferimento di senso che pesca nell’esperienza sensoriale corporea...il percorso è dal concreto all’astratto, ma il concreto arreda l’astratto.  

Quando diciamo che l’inflazione mangia i nostri risparmi cosa stiamo dicendo? stiamo trasformando l’inflazione in un essere animato di cui noi abbiamo l’esperienza concreta, sappiamo cos’è un essere animato e sappiamo anche cosa vuol dire mangiare...

l’inflazione è un concetto astratto ma nel momento in cui mangia i nostri risparmi diventa concreto...

 

Mi pare di capire che le metafore che popolano il nostro linguaggio popolano anche il nostro modo di pensare, cioè non costituiscono solo un modo di parlare, ma anche un modo di pensare…

La tesi di Lakoff, che tu proponi alla nostra attenzione, sviluppata in un libro scritto in collaborazione con Mark Johnson, intitolato Metafora e vita quotidiana (1980) è che "il nostro ordinario sistema concettuale ha una natura fondamentalmente metaforica."

L'argomentazione centrale è che le metafore sono elementi centrali per lo sviluppo del pensiero: considerate nell'ambito della tradizione scientifica occidentale come costruzioni puramente linguistiche, influenzano invece la nostra comprensione del mondo e la nostra organizzazione di concetti astratti.  

Il pensiero non metaforico sarebbe possibile solo quando si parla della realtà puramente fisica.

 Il modo in cui parliamo e pensiamo è modellato da queste metafore concettuali radicate nelle strutture neurali.

Nelle opere successive Lakoff considera il corpo e l'esperienza fisica come parte integrante del processo cognitivo: parla di ”cognizione incorporata”, sostenendo che quasi tutta la cognizione umana, fino al ragionamento più astratto, dipende e fa uso di strutture concrete e di "basso livello" quali il sistema sensomotorio e le emozioni.  

Si tratta quindi di un superamento non solo del dualismo cartesiano che contrappone mente e materia, ma anche della pretesa che la ragione umana possa essere essenzialmente compresa senza far riferimento a corpo e emozioni.

Viviamo con un mondo in testa fatto di immagini, tracce sbiadite e solidificate di sensazioni e sentimenti primi, elementari…sovrastrutture che ci allontanano dalla realtà, vestiti molte volte favolosi di una primitiva nudità del corpo.

Con la creazione esponenziale di metafore, ci allontaniamo infatti sempre più da quella realtà che ne è stata matrice, quell’oggetto che intendevamo raccogliere pensare e comunicare meglio…con l’esito indicibile che rischiamo di perderlo…

È qui che vuoi arrivare Attilio mio?

...Arriviamo a Julian Jaynes che è l’autore de “Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza”...

...capire è sentire una somiglianza fra i dati complessi e un modello familiare, questo vale per noi come vale per la scienza...

quindi il comprendere corrisponde a individuare una metafora per la cosa in oggetto, sostituendo ad essa qualcosa di più familiare:

è proprio la sensazione di familiarità che ci fa affermare di avere compreso...

Jaynes considera la coscienza come un linguaggio metaforico col quale comprendiamo la realtà delle cose...

La coscienza inoltre continua a generare sé stessa...

Questa è la cosa che vorrei sottolineare in modo particolare, in quanto quello che succede con le metafore è che noi prendiamo delle parti di queste metafore che generano altre metafore: quindi se la metafora ha un’origine nell’esperienza sensoriale di base, diventa poi metafora di metafore...  

pensate alla coltre di neve: la coltre di neve ci rimanda la metafora della coperta e infatti cosa succede oltre a quello, che la natura dorme...e potremmo andare avanti...

Ritornare alla matrice sensoriale e viscerale scendendo giù dal firmamento delle metafore, sembra l’imperativo che tu Attilio trai anche dall’analisi della ricerca di Julian Jaynes, lo psicologo statunitense (1920-1997) principalmente noto per la sua teoria sulla coscienza e la mente bicamerale, esposta nel libro “L'origine della coscienza nella rottura della mente bicamerale”, pubblicato nel 1976.

La tesi centrale di questo scritto è che, nelle fasi iniziali della storia umana, l'emisfero cerebrale destro e sinistro funzionassero in modo separato.

La mente bicamerale sarebbe stata caratterizzata da una separazione funzionale: l'emisfero destro avrebbe sviluppato la funzione di dare istruzioni o "comandi", mentre l'emisfero sinistro avrebbe eseguito queste istruzioni.

Questa interazione avrebbe portato le persone a percepire una sorta di dialogo interno, nel quale le istruzioni erano avvertite come voci provenienti dagli dèi o da spiriti guida.

Jaynes ha utilizzato testi antichi, come l'Iliade e l'Odissea, per sostenere la sua teoria: ha interpretato i passaggi in cui i personaggi sembrano udire le voci degli dèi come esempi del funzionamento della mente bicamerale, affermando che questi testi riflettano una coscienza diversa da quella contemporanea.

Nel corso del tempo, ci sarebbe stata un’evoluzione dell'organizzazione cerebrale umana, che avrebbe portato alla coscienza moderna: un cambiamento accompagnato da sviluppi evolutivi e cambiamenti nella struttura del cervello.

La mente bicamerale avrebbe lasciato spazio a una mente più integrata e cosciente, in cui le persone sarebbero diventate consapevoli del proprio pensiero e delle proprie decisioni.

L’ipotesi di Jaynes che le persone interpretavano le istruzioni provenienti dall'emisfero destro del cervello come voci divine, rappresenta una sorta di metafora: il concetto di "comunicazione divina" spiega l'esperienza di dialogo interno in termini più comprensibili.

Con l’evoluzione le metafore sarebbero poi diventate un modo simbolico di esprimere idee, trasmettere conoscenze e condividere esperienze, senza la necessità di attribuirle a voci divine.

Le metafore secondo Jaynes sarebbero necessarie per comprendere concetti astratti o complessi, fornendo una modalità di traduzione tra esperienze concrete e idee più astratte: un ponte che renderebbe familiari concetti che altrimenti sarebbero difficili da comprendere.

Esse sarebbero quindi strumenti fondamentali nel processo attraverso il quale gli individui attribuiscono significato a eventi e oggetti della realtà circostante,

costituendo la base della comunicazione e dello sviluppo del linguaggio e della coscienza.

Quella nostra coscienza che come dici tu non è tanto il caso di definire, ma piuttosto di descrivere nella sua ineffabile poliedricità e ridondanza, liquidità e volatilità... tanto quanto è solido e materiale il nostro corpo che la produce…miracolo umano di equilibrio nel disequilibrio…

E per rappresentarlo, Attilio Gardino, miracolo di solidità e astrazione, hai cercato le parole migliori tra le voci dei cori delle tue letture, strappate negli angoli delle tue giornate…

...La coscienza è così raccontata da questo autore:

 mondo di visioni non vedute, di silenzi uditi è questa regione inconsistente della mente, sono ineffabili assenze di questi ricordi impalpabili, queste fantasticherie che nessuno può mostrare, quanto privati e quanto intimi sono, un teatro segreto fatto di monologhi senza parole e di consigli  prevenienti, dimora invisibile di tutti gli umori, le meditazioni e i misteri, luogo infinito di delusioni, di scoperte, un intero regno su cui ciascuno di noi regna solitario, contestando ciò che vuole, comandando ciò che può...


...Mi auguro che qualcuno incominci a pensare che il re a questo punto è veramente nudo...  

allora come nascondiamo i nostri corpi dietro i vestiti, così la realtà e noi stessi siamo nascosti dietro la nostra produzione simbolica, acconciata in metafore assolutamente credibili che chiamiamo coscienza...

i mercanti truffaldini non devono più girare per paesi e promuovere le loro stoffe miracolose, tutti noi siamo quotidiani consumatori dei loro prodotti e, come nella moda il tema si è spostato dall’acquisizione di una copertura alla scelta di quale abito indossare per quale occasione, per quale scopo e per quale messaggio trasmettere, così la nostra produzione simbolica, il nostro generare continue metafore assolve quotidianamente e analogamente la funzione dei nostri abiti: nascondere le nostre vergogne ed edificare il nostro Avatar...

  

oh caro Attilio che vista che si gode da quassù!… dove sei tu e ci hai portato tu…

io e il mio Avatar ti siamo molto grati…

credo che in molti ci fossimo arrivati studiando e praticando Freud e Reich… e molti altri maestri comuni… purtroppo sempre più dimenticati…

…la ricerca di Sigmund Freud sul significato emozionale inconscio delle parole e quella benedetta e maledetta sull’energia e il linguaggio del corpo di Wilhelm Reich, avevano riportato alla matrice originaria, la visceralità, la pulsione primaria che spinge ogni nostra inclinazione, che noi umani vestiamo di ragione nella vita comune. E intorno il firmamento delle immagini, divinità ancestrali oggi riproducibili e poi comunicabili con gran facilità, in questo nostro mondo che può toccare il cielo con un dito…digitando soltanto…

Un firmamento per noi…un vestito virtuale di un tessuto globale…

Come dicevi tu…

...Gli autori prima citati concordano in forme più o meno esplicite nell’individuare il corpo come la matrice originaria della metafora e che è l’esperienza sensoriale ed emozionale che dà significato alla parola e al processo simbolico: questo serbatoio di esperienze è usufruibile solo attraverso la mediazione simbolica operata dalla coscienza di ordine superiore...

è quest’origine che dà senso alla parola, è quest’origine che dovrebbe accompagnare la ricerca di senso nella produzione e nella fruizione della parola...


Ora l’esclamazione del bambino potrebbe essere riformulata:

“i vestiti sono vuoti”...

il linguaggio, le metafore hanno assunto una loro autonomia, allontanandosi sempre più dall’esperienza corporea, siamo circondati da parole fredde, inanimate, assillate dalla ricerca di un effetto emotivo che si è sempre più allontanato dalla nostra esperienza...

Nella produzione cinematografica possiamo ritrovare film di fantascienza che prefigurano scenari in cui le macchine i robot assumono il controllo della realtà, rivoltandosi contro il loro creatore...

Credo che in forma meno evidente ma sistematica il processo sia già in atto...la sempre maggiore autonomia della produzione simbolica dal suo referente, il corpo, genera quel fenomeno che chiamiamo narcisismo e che, per la sua estrema diffusione, sembrava volessero eliminarlo dal DSM5, (Manuale Diagnostico E Statistico Dei Disturbi Mentali)...scalzando definitivamente la realtà prima dal suo scranno: non è più il re nudo ma sono i suoi vestiti ad esserlo, privi di un contenuto...

quando il distacco del simbolo dal suo referente corporeo si realizza, le parole i gesti le immagini possono essere facilmente manipolate al fine esclusivo di estendere il potere sull’altro, scopo ultimo e unico del narcisismo...

Noi siamo corpo, noi siamo parole: una dimensione non può stare senza l’altra...
non è il caso di fondare il partito del corpo in risposta a quello della parola, ma piuttosto ripristinare quei legami...

ascoltare le parole...le metafore come espressioni del corpo e il corpo, la sua organizzazione energetica, come matrice... e queste due dimensioni inscindibili come espressioni della persona.


Termino con una poesia di Baudelaire...

Le corrispondenze

La Natura è un tempio dove colonne viventi
lasciano talvolta uscire confuse parole;
l’uomo vi passa attraverso foreste di simboli
che l’osservano con sguardi familiari.
Come lunghi echi che si confondono in lontananza,
in una tenebrosa e profonda unità,
vasta come l’oscurità e come la luce,
profumi, colori e suoni si rispondono.
Vi sono profumi freschi come carni di bimbi,
dolci come gli oboi, verdi come i prati,
- E altri, corrotti, ricchi e trionfanti,
che hanno l’espansione delle cose infinite,
come l’ambra, il muschio, il benzoino e l’incenso,
che cantano l’ebbrezza dello spirito e dei sensi.

Attilio!... volevi terminare con un inno sensoriale dopo aver attraversato la foresta dei simboli? ...

Credo proprio che dobbiamo esercitare continuamente la nostra sensorialità, per preservarla e salvarla dall’incantesimo virtuale che ci viene incontro ogni momento… per ancorarci come a un salvagente tra le onde delle immagini con le quali eludiamo e illudiamo il presente…noi umani involuti nella rete delle nostre canzoni…negli inni della “nostra civiltà” …

Abbiamo sostituito le voci degli dèi con altre voci esterne perdendo il senso del nostro sé…

Viviamo con un mondo in testa fatto di immagini, ma la realtà del nostro funzionamento viscerale rimane comunque viva sotto il sistema stellare della “coscienza” e ci muove la vita più di quanto non si dica…

Le impressioni viscerali dei vissuti sensibili (nel doppio senso di percettibili e rilevanti) si sono in parte nascoste in strutture psicocorporee stratificate, che attivano schemi reattivi agli stimoli della realtà: l’elemento emozionale inconscio prevale spesso, in forma latente, come determinante delle percezioni e dei processi cognitivi e comportamentali.

La visione del mondo attualmente dominante sembra non essere in grado di andare oltre il perimetro della propria ideologia, del proprio sistema di credenze…

che sono i vestiti esterni: il corpo che vestono è viscerale.

Il rischio della nostra coscienza e conoscenza è quello di bypassare il mondo viscerale, scivolando in quello cognitivo, che ha maggiore “presenza” “prevalenza” “efficacia” in quanto facilmente disponibile, grazie alla nostra struttura difensiva storica e a quella socioculturale globale.

Ancora molto bisogna lavorare per restituire le fondamenta materiali alla nostra coscienza e conoscenza…

Grazie Attilio Gardino che hai gridato come un bambino, con la tua divertita eleganza, che il nostro Re è nudo…

E grazie a te mi è venuta la voglia di scrivere questa mia ulteriore riflessione.

IDEOLOGIA …MAMMA MIA…

Tutti abbiamo avuto una mamma che ci cullava in ventre…

Il paradiso perduto, l’età dell’oro, l’isola felice.

Si dice: per un bambino la mamma è il mondo, per un adulto il mondo è la mamma.

Inconsciamente trasferiamo sulla realtà che ci circonda le onde emozionali, le dinamiche relazionali, le immagini prime della Madre.

Ognuno ricalca inconsapevolmente uno schema emozionale, cognitivo e comportamentale derivato dalla matrice di quella mappa originaria.

Sogni, fantasie, ideali e molte altre nostre creazioni sono corollari più o meno eloquenti di quei momenti primi.

Col percorso della crescita, del farsi adulti, ricalchiamo cioè alcune orme di quel passato e aggiungiamo man mano nuove esperienze, condizionate da quella matrice e insieme condizionanti quella matrice: un’interazione che porta ad una differenziazione personale.

Una trasformazione che, diversamente per ogni a caso, mantiene comunque l’impronta di quella relazione originaria.

Un’impronta che produce onde emozionali sottili, perlopiù impercettibili, che accompagnano e orientano le nostre inclinazioni, nel senso delle simpatie e delle antipatie, delle empatie e delle apatie.

Un’impronta che traccia i nostri schemi propriocettivi, cioè la propensione a sentire diversamente sensazioni e sentimenti, secondo una mappa storicamente determinata dai nostri vissuti primi.  

Questi schemi ci inducono, nelle relazioni, a rispondere con un caleidoscopio di reazioni interne che si propagano come onde in comportamenti differenti e che solitamente percepiamo e interpretiamo come nostre risposte ad azioni degli altri, espropriandoci dei nostri sentimenti personali: ”mi fai arrabbiare”, “mi fai venire ansia”, “mi fai star male”...

Sono tracce di colonne sonore lontane, sono atmosfere interne impalpabili, elementi che appartengono più al mondo dei sogni che a quello della coscienza vigente e vigile, ma che hanno la forza nascosta della matrice d’origine:

la forza che dà forza, il calore che dà calore, la sicurezza che dà sicurezza.

Nella nostra migrazione verso le varie tappe della vita conserviamo l’impronta che ci impronta, che ci commuove dentro in gran segreto e che ci muove fuori rivestita dei nostri colori: i connotati caratteriali, gli stili comportamentali, le abitudini “culturali”.

È qui che si nasconde e si rivela la Grande Madre e conduce la danza dei pensieri e delle propensioni.

I modi di pensare e di sentire, le visioni del mondo, le alte aspirazioni e ispirazioni e tutto il mondo delle concezioni.

Le fantasie infantili, i sogni adolescenziali, gli ideali dei giovani, le fedi degli adulti, l’ascesa spirituale degli anziani.

Chiamiamoli tutti insieme Ideologia.

Ideologia…Mamma mia…

Che mi proteggi dalla dura realtà

Che mi tieni in braccio in sicurezza

Che mi nutri di quello che mi piace

Che m’incanti di sogni senza fine

Che nei momenti bui mi dai la luce

Che il tempo passa e tu sei sempre in me

dentro al mio cuore per tutta la mia vita.

Ideologia Mamma mia!

 

* Attilio Gardino, “I vestiti dell'imperatore, ovvero l'utopia della realtà”,18 novembre 2016, Convegno "UTOPIE: i diversi sguardi", organizzato da IPSO e dall'Università degli studi di Milano Bicocca. 

https://www.google.it/search?q=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DSqEd5tFILT4&sca_esv=a2b78866b809fff6&sxsrf=ACQVn083QpFDINQMvztIxG-hFD7H6Z2Cpg%3A1708120866426&source=hp&ei=ItvPZbqlF5T1i-gPqYzYoQ8&iflsig=ANes7DEAAAAAZc_pMkmKucSavRJbqa_GdUiBRTliXiDC&ved=0ahUKEwi6vuWL7rCEAxWU-gIHHSkGNvQQ4dUDCBc&uact=5&oq=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DSqEd5tFILT4&gs_lp=Egdnd3Mtd2l6IitodHRwczovL3d3dy55b3V0dWJlLmNvbS93YXRjaD92PVNxRWQ1dEZJTFQ0MgQQIxgnSL4qUABYAHAAeACQAQCYAVagAVaqAQExuAEDyAEA-AEC-AEB&sclient=gws-wiz