Tutti siamo preoccupati per la nostra sicurezza e oggi più di ieri.
Qui mi occupo di un aspetto spesso tralasciato ma basilare.
La sicurezza si coniuga con il controllo che possiamo avere sul contesto in cui ci muoviamo e con la comunicazione che abbiamo con gli altri.
Tanto maggiore è l'ostilità che ci circonda, tanto più ci sentiamo e siamo insicuri.
In un contesto sociale in cui si afferma sempre più la mancanza di rispetto per il diverso, è inevitabile che l'ostilità cresca progressivamente.
È questo un meccanismo perverso dell'attuale situazione socioculturale, soprattutto in Europa: i “diversi” aumentano di numero e di varietà, con progressione quasi geometrica, e altrettanto succede, troppo spesso, al sospetto e all'intolleranza.
I vari tipi d’immigrazione, la varietà delle mode, la diversificazione degli stili di vita, la spettacolarizzazione narcisistica dell’io, contribuiscono a rendere questa contraddizione sempre più paradossale.
La mancanza di comunicazione e di rispetto frequentemente prevalgono: il pregiudizio e il disprezzo sono diffusi, e moltiplicati in molti casi dai mass media, fino a giungere al dileggio della religione altrui, cioè di uno degli elementi più delicati e fondamentali dell'identità di una persona, giustificando questo atteggiamento come libertà di pensiero.
In nome di una libertà intellettuale narcisistica si va a limitare e perdere progressivamente ben altra libertà!
Infatti la mancanza di rispetto, l'umiliazione e il disprezzo vanno ad alimentare l'ostilità in chi la subisce ed in certi casi anche l'odio, che è talvolta suscettibile di trasformarsi in follia.
 
Questo spesso avviene senza piena consapevolezza e quindi in maniera subdola e proprio per questo più pericolosa.
Il peso di tutto ciò è aggravato dalla grande (il più delle volte enorme) sproporzione di potere economico e sociale tra le parti, delle quali una è padrona di casa, anche se spesso si sente minacciata e sempre più espropriata, mentre l'altra è forestiera, in molti casi esule e comunque dipendente.
Se consideriamo che un meccanismo simile non di rado avviene tra genitori e figli nei primi anni di vita, si può considerare la tossicità della combinazione di questi due processi, in particolare in individui che hanno vissuto l'infanzia in famiglie di immigrati, sottoposte ad una autodisciplina ferrea volta alla volontà di emergere in un contesto di diversità e difficoltà economica, sociale e culturale.
Quei genitori hanno chiesto spesso ai figli una disciplina altrettanto ferrea, giustificata dal bisogno di sopravvivenza, e i giovani hanno dovuto fronteggiare autorità e contesti coercitivi duplici: uno sul fronte interno e uno sul fronte esterno.
Un'impresa ciclopica: qualcuno ha perso l'equilibrio, in un modo o in un altro.
Internet come una Grande Madre e un Grande Padre ha fornito asilo a questi giovani. Come un porto di mare essi hanno potuto trovare di tutto.
Tra l'altro, nel mare della comunicazione in rete, hanno incontrato proposte di solidarietà ed integrazione e proposte di vendetta.
C'è chi ha scelto la vendetta.
Noi psicologi, noi educatori, noi genitori, noi cittadini intelligenti di queste realtà sottili e insieme "spesse", noi dobbiamo aprire gli occhi a chi vede soltanto la superficie pratica e tecnica della sicurezza, indubbiamente fondamentale, ma del tutto insufficiente.
Senza una cultura del rispetto non si coltiverà una sicurezza durevole.
Non resterebbe che la guerra.
Chi denigra sbrigativamente questo approccio al problema come “buonismo” e rivendica la necessità di una soluzione di tipo militare al problema, mostra una cattiva memoria sui risultati delle scelte militari recenti, compiute sbrigativamente sulla base della svalutazione e sottovalutazione del “nemico”, accompagnate da una propaganda basata sulla falsificazione e sul disprezzo, che hanno dato il risultato di far scemare negli anni la sicurezza della nostra vita.
Qui non si tratta di buoni o di cattivi, ma di lungimiranti o distratti.
Certo non potrà essere l’unica, ma che non sia ultima l’arma dell’intelligenza!